A seguire colloco alcuni spunti utili ad una riflessione condivisa e (magari) ad una conseguente azione. Procederò per punti nella consapevolezza che ciascuno di essi necessita di ulteriori approfondimenti; quello che mi preme definire, intanto, è il campo, il perimetro di esplorazione ed indicare il mio “senso”, cioè secondo quale ordine e priorità procede il mio punto di vista affinché entrambi, campo e senso, possano generare riflessione, confronto, condivisione, revisione, percorso comunemente intrapreso.
Non vi è dubbio che negli ultimi 30 anni la società abbia subito una profonda trasformazione; le manifestazioni di essa sono oggi evidenti perché hanno assunto dimensione di sistema ed in quanto tali hanno dispiegato e dispiegano i loro effetti epifanici. Come annota Gramsci con la sua profetica lucidità, il sistema economico conforma l’uomo di cui necessita; determina, cioè, un processo di trasformazione che è insieme culturale ed antropologico in grado di indirizzare e selezionare gli individui in base alla loro rispondenza e funzionalità al sistema stesso. Il resto è conseguenza predeterminata.
Dunque, senza che ne accorgessimo negli ultimi 30 anni sono venute su due generazioni conformate ai dettami dell’uomo digitale. In questo momento quello che noi postuliamo come unico corpo sociale è in realtà costituito da due campi, affatto diversi, separati da una profonda frattura generazionale (grosso modo dai 45 anni in su e dai 45 in giù), di fatto non comunicanti, ciascuno caratterizzato da bisogni, aspettative, livello culturale e di consapevolezza, visione del mondo e della realtà, percezione del tempo, disponibilità di risorse assolutamente diversi, a volte confliggenti.
Come è cambiato il paradigma alla radice – la società del dopoguerra
La società del secondo novecento era conformata secondo l’assioma “capitale+lavoro = ricchezza prodotta (più o meno redistribuita nell’ambito della comunità e/o del sistema/Paese)”; questo impianto vive e si alimenta, progredisce, della dialettica (a volte anche aspra) tra le parti, ciascuna avente identità, organizzazione e funzioni diverse; l’una fecondante l’altra, originando, insieme, una comunità plurale, sana, viva e democratica. Questo contesto sostanzia l’idea di mercato (in quanto incrocio autoregolantesi di domanda ed offerta), di libera concorrenza, di libera espressione delle proprie idee (qualunque esse siano) nel pluralismo degli approcci e delle voci; promuove il confronto nella consapevolezza che la dialettica e la capacità di riconoscere valore arricchiscono il patrimonio (nell’accezione più ampia) di tutti e di ciascuno; sollecita, promuove e riconosce il valore e la funzione della ricerca scientifica, della cultura e delle arti in quanto “comuni-c-azione”, cioè collocazione nella disponibilità di tutti e di ciascuno di nuove conoscenze e/o visioni in grado di illuminare squarci del mistero imprescrutabile nel quale svolgiamo la nostra esistenza; nel percorso di formazione delle nuove generazioni stimola, promuove e produce la conoscenza, l’evoluzione delle abilità e la capacità di acquisire e conferire competenza (cioè il livello strategico fondamentale) piuttosto che limitarsi a traferire competenze (cioè pacchetti di nozioni deprivate di valenza strategica); apre le menti piuttosto che confinarle in un recinto controllabile in cui esercitare potere assoluto nella consapevolezza che detta operazione di apertura e promozione sia azione
necessaria alla produzione degli anticorpi necessari affinché l’organismo sociale possa affrontare e superare gli accidenti, gli agenti attentanti alla salute di esso stesso; postula che il Parlamento sia il
luogo in cui esercitare la rappresentanza delle diverse istanze e degli approcci, il confronto, la dialettica e la composizione “alta” di essi per il bene e la crescita della comunità tutta.
Vale dedicare attenzione al secondo fattore dell’assioma: il lavoro; pilastro fondamentale della nostra Carta Costituzionale; in uno con la dottrina sociale della Chiesa, il lavoro, ancorché duro, è un percorso trasformativo che accompagna ciascun individuo al riconoscimento della propria dignità di essere umano, di “persona”, e conseguentemente costituisce il canale per riconoscere altrettanta dignità e valore agli altri membri della comunità, fratelli e compartecipi dello stesso percorso. Il lavoro, dunque, è la porta che conduce ciascuno verso il “sacro” che è in noi e che ci interconnette con lo spirito profondo dell’intera comunità umana.
La società del tecnologico e del digitale
L’assioma dell’era digitale è conformato secondo lo schema “danaro (capitale) –> informazione/i –> danaro-potere” (senza alcuna necessità di redistribuzione). Spazzata via la cultura della produzione, della dialettica, del confronto, il potere è diventato un flusso univoco ed unidirezionale che ci investe costantemente, ininterrotamente e noi rappresentiamo solo un microbersaglio passivo con possibilità di risposta si/no in virtù della quale il flusso ritara il suo corso. Esso si autogenera ed alimenta, si dispiega, si sostanzia, si consolida ed assevera sé stesso. Così. Semplicemente. Null’altro essendo necessario e soprattutto possibile. Primo comandamento: “io sono il Signore Dio tuo e non avrai altro Dio all’infuori di Me”; ma anche: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”. Provate a leggere tutto quanto è accaduto e sta accadendo in ragione del Covid inforcando per un attimo queste lenti, per favore. E’ uno tsunami, una piena che non dà tregua né tempo che ci travolge e porta con sé tutto ciò che trova sul suo corso; tutto ciò che non ha un radicamento profondo, però. “Calati juncu ca passa la china” recita un antico detto siciliano. E non c’è dubbio su chi sia lo “juncu”: il campo degli “over 45” precedentemente descritto perché possiede radicamento, memoria storica, strumenti e capacità per “leggere” e contestualizzare opportunamente le dinamiche e gli accadimenti; così come non c’è dubbio che il momento di rialzarsi è ora; ora che siamo ancora numericamente maggioranza e prima che sia troppo tardi. La politica diventa subalterna; l’informazione, i media sono completamente asserviti così come la Scuola, la Ricerca, l’Università, la Scienza (la disarticolazione dei Saperi è ormai opera compiuta il cui “merito”, in Italia, va ascritto alla Sinistra, alla FLCGIL ed a Luigi Berlinguer; è necessario precisare che sono di Sinistra, sono ancora tesserato FLCGIL, so cosa dico e sono pronto a qualunque confronto pubblico a cui, in passato, i soggetti citati si sono vigliaccamente già sottratti); e, purtroppo, addirittura la Chiesa, nella fase di “chiusura” per COVID, si è inginocchiata al Potere temporale di fronte alla Morte ed alla Malattia sospendendo perfino l’amministrazione dei Sacramenti: pessimo segnale e molto allarmante.
Il sistema
Preliminarmente vale soffermarsi sul termine “sistema”, molto usato, spesso abusato al punto da dimenticarne la definizione: un sistema è un ambiente organizzato in cui a soggetti diversi ma
complementari vengono assegnati compiti e funzioni (anch’essi diversi e complementari) atti alla realizzazione degli obiettivi e della missione del sistema stesso; un sistema è gerarchicamente incardinato e strutturato (non è un insieme di “pari”) e produce esiti ed effetti coerenti con la sua strutturazione, con la sua gerarchia e con la sua missione ed in genere allarga la forbice preesistente tra i diversi soggetti afferenti a seconda del loro ruolo gerarchico all’interno dell’ambiente organizzato.
Il sistema “Italia unita”, ad esempio, attribuiva al nord il ruolo di locomativa trainante ed al sud quello di “serbatoio” (anche di competenze nonché fucina di classe dirigente) e mercato interno di destinazione dei prodotti.
Il sistema “Europa Unita” è incardinato sulla Germania quale traino e “dominus” con funzione di fedele esecutore del progetto delle lobby finanziarie internazionali. Bisogna riconoscere il merito alla Germania, però, di aver radicalmente trasformato il suo sistema-Paese negli ultimi 20 anni, conformandolo mirabilmente al nuovo ruolo esercitato (o da esercitare) all’interno del sistema-Europa: si è impadronita delle attività e delle funzioni strategiche di tutto il sistema sia nel settore della produzione che in quello del terziario avanzato dettando le regole del gioco, determinando ed amministrando i flussi finanziari e controllando, di fatto, la BCE.
Il primo, evidente risultato di questo nuovo assetto di sistema è che il peso e la valenza del nord Italia, oggi, è del tutto secondario e subordinato nel sistema-Europa e non più trainante nel sistema-Italia. Stante questo nuovo assetto, senza trasformazioni strutturali e senza una nuova visione ci sarà solo una accelerante disgregazione. Alcune profonde manifestazioni di diversità sono già evidenti tra nord-ovest e nord-est (Lombardia e Veneto, ad esempio) in costanza di segno politico amministrativo comune (Lega).
Ma c’è un terzo sistema con il quale fare i conti: quello finanziario globalizzato con la sua conseguente, imperante, monopolista cultura e filosofia liberista di amministrazione e gestione anche degli Stati. Negli ultimi 30 anni la ricchezza ed il potere sono ritornati completamente nelle mani di chi ha facoltà di generare danaro; che detta ed impone le sue regole del gioco; così il danaro crea altro danaro e, soprattutto, potere. Del tutto incondizionatamente. I media e le elite accademiche e scientifiche, completamente supini al potere ne sono gli amplificatori ed i ripetitori. Senza dignità e senza vergogna, pur di compartecipare alla riscossione delle briciole; soprattutto rimanendo in fila pazientemente in attesa del proprio turno di accesso al sottotavolo per raccogliere il prezzo (meschino) dei servigi resi.
C’è un aspetto da sottolineare, a proposito di “sistema”: è del tutto evidente che la dinamica, data come dogma, di funzionamento di uno Stato secondo la quale una comunità virtuosa con le sole entrate fiscali (nell’accezione più ampia) può e deve essere in grado di garantire il soddisfacimento dei diritti fondamentali ed il funzionamento tutto della macchina statale costituisce una enorme,
provata menzogna. L’Italia è messa come è messa nonostante 30 anni di avanzo primario! Nessun altro Stato vanta un risultato come il nostro eppure …….
Tutti gli Stati di primaria importanza (dagli USA al Giappone, alla Gran Bretagna etc.) hanno un alto debito pubblico (di gran lunga superiore al nostro) che è fattore assolutamente fisiologico e non patologico a cui sopperiscono con semplici “clic” che generano danaro da parte delle rispettive banche centrali che esercitano una funzione sovrana a sistema di uno Stato sovrano.
Perché agire e perché ora?
Potrei dire “per i nostri figli – per le più giovani generazioni”: sarebbe nobile, giusto, saggio; ma probabilmente poco efficace. Fortunatamente c’è un fattore concreto, scatenante, perentorio: i dati ISTAT ci dicono che entro il 2023 circa due terzi degli attuali lavoratori attivi andrà in pensione; l’INPS (e gli altri enti previdenziali), di conseguenza, incasserà due terzi dell’ammontare contributi in meno (anzi, più di 2/3 in meno poiché le fasce stipendiali a fine carriera sono più alte) e dovrebbe erogare pensioni per un ammontare pari a circa due volte e mezzo le attuali uscite. E’ più che evidente che non è possibile: sarà il default della previdenza e, di conseguenza, dello Stato. Aggiungete a questi dati quelli costituenti ricadute sul debito dei prossimi anni delle misure intraprese (ovvero clamorosamente e colpevolmente non intraprese) dall’attuale governo con i provvedimenti di questi mesi (credito d’imposta che frutterà minori entrate, poste relative alle garanzie dello Stato alle banche irrisorie rispetto al dovuto, nessuna immissione di liquidità nel sistema Italia infartuato dal Covid con conseguenti minori entrate fiscali nei prossimi anni, annientamento di interi settori produttivi) e …… fate la somma.
E’ evidente che senza prendere coscienza del cambiamento di paradigma e delle implicazioni culturali, sociali, antropologiche che esso ha comportato; senza sbugiardare subito e perentoriamente la narrazione del potere degli ultimi 30 anni almeno; senza consapevolezza delle implicazioni, dei fini, delle conseguenze dell’opera di Andreatta e Prodi (nelle poltiche economiche, finanziarie ed industriali italiane), di D’Alema, Veltroni e Napolitano (ovviamente cito i giganti e non i nani); senza comprenderne il disegno complessivo ed a supporto di quali intenti ed interessi essi hanno agito; senza ricordare le lezioni di Pasolini e Sciascia; senza riflettere sulle vicenda stragi (da Portella della ginestra a piazza Fontana, a quelle degli anni ’70 e ’80, a Falcone e Borsellino ed a quelle degli anni ’90); senza riflettere sulla vicenda Moro (ricostruendo dinamiche e contesti, connettendo persone ad azioni e/o omissioni); avallando ogni rimozione e cancellazione della memoria storica; senza destarsi da questa dimensione onirica nella quale ci siamo immersi negli ultimi 30 anni; la nostra colpevole acquiescenza nelle prossime ore, nei prossimi torridi giorni, non organizzandoci ed agendo immediatamente significherà per i più giovani, incolpevoli, la perdita del loro futuro; per noi, “over 45”, la perdita, colpevole, del passato, del presente e del futuro: 30 anni senza capirci nulla sono davvero troppi!